Caravaggio ha immaginato la scena nella catacomba dove era stato seppellito Lazzaro con i personaggi allineati come nel bassorilievo di un sarcofago, ulteriore possibile allusione alla morte e alla sepoltura. Alcuni, affascinati dal miracolo, come il necroforo destinato a sorreggere Lazzaro, simile nella funzione di asse centrale della tela a quello dipinto dal giovane Vasari nel suo Cristo portato al sepolcro, con il braccio destro nella medesima posizione assunta da quello del David del Buonarroti. Affascinato dal miracolo, il volto intravisto dietro il braccio di Cristo, a ripetere nell’espressione della bocca la traccia di quell’urlo già ricorso con valenze diverse e, per ultimo, nel personaggio barbuto del Seppellimento di santa Lucia dove potrebbe nascondersi un autoritratto.
I personaggi come attratti dalla luce: l’altro necroforo che solleva la lastra tombale, o l’astan- te nel quale si sarebbe autoritratto. Luce come materia salvificante che squarcia l’oscurità dell’antro e Cristo che, apparendo come tramite, sarebbe rimasto in penombra. Marta, che gli era corsa incontro, aveva esclamato: – Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto, ma anche ora io so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà. Per tutta l’altezza della pala, sulla sinistra come una torre, Caravaggio ha rappresentato un poderoso pilastro ed anche il gruppo degli uomini con Cristo, undici in tutto numero che per sant’Agostino, autore caro ai Francescani, allude al peccato, alla trasgressione, ma anche all’inizio del ritrovamento. Il corpo di Lazzaro, semicoperto da un lenzuolo, teso in forma di croce, come il segno salvifico di panno ruvido color tané sulla spalla destra e sul petto del Padri Crociferi, in diagonale perché in bilico tra la vita e la morte, tragica metafora del dramma di Caravaggio, condannato che attende la remissione della pena capitale. Sul lato destro il gruppo delle donne, Marta e Maria Maddalena, protese sul volto del fratello, due in tutto, numero che costituisce il principio femminile per eccellenza, allusivo della evoluzione creatrice e dell’opposizione creatore-creatura.
Nei volti di Lazzaro e Marta, Caravaggio ripropone il bacio della madre al bambino risuscitato di Sessa Aurunca, affrescato da Giotto ad Assisi nella basilica inferiore di san Francesco, con i caratteristici profili aderenti in senso inverso, ma sposta il punto focale nella mano destra dell’uomo. Esatto incontro delle diagonali della tela, estremità del braccio viva, vibrante di luce, sollevata per rispondere al gesto di Cristo dalla mano con l’indice leggermente piegato verso la sinistra di Marta. La quale, colpita dalla medesima luce, è pronta ad articolarsi come quella del fratello, quasi a volersi caricare della stessa energia vitale per costituire il secondo polo di questo circuito rivitalizzante. Marta che aveva avuto fede, vedendo Lazzaro tornare in vita, con questo ingenuo, istintivo gesto di intima partecipazione vuole agevolare, duplicandola, la trasmissione dell’energia necessaria a ricondurlo in vita. Nota vibrante di amore fraterno, chiara allusione al profondo dolore di Giovanni Battista Lazzari, committente della tela, per la perdita del fratello Tommaso al quale, come Marta per il suo, avrebbe fatto dono anche del proprio respiro. Rappresentando così l’attimo centrale, il perfetto bilico tra la morte e la vita del fratello di Marta con la sinistra a giacere ancora presso il teschio e le ossa ai bordi del sepolcro, pronta a seguire istantaneamente la destra viva ed eretta, Caravaggio rievoca l’istante in cui l’Inferno, dopo avere divorato un uomo di nome Lazzaro, si doleva di esserselo sentito lacerare atrocemente dalle viscere con la forza della sola parola, per poi vederlo volar via, come un’aquila, rapidamente riafferrato dalla vita.
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