ALVISE
SPADARO

CARAVAGGIO IN SICILIA

1608 il percorso smarrito 1609

Il Seppellimento di Santa Lucia

Siracusa, Chiesa di Santa Lucia fuori le mura

Nella grande tela composta da più pezze di canapa a trama particolarmente fitta, i toni dominanti sono quelli caldi e pacati delle latomie siracusane. La scena è un dramma rituale in un ambiente che contemporaneamente è teatro, catacomba e latomia. Una schiera di personaggi, alcuni dolenti, la mano e la testa del vescovo benedicente, un armigero, due fossori, la vecchia inginocchiata presso il corpo della martire distesa a terra col capo riverso e originariamente staccato dalle spalle. La figura centrale del diacono, corifeo con le dita intrecciate all’altezza dell’inguine, indossa le uniche note salienti della tela: cinabro e lacca di garanza per il mantello e l’abito color porpora.

Lo stesso colore indossato da chi pronunciava il giuramento nel tempio di Kore protagonista del sicilianissimo mito della fanciulla rapita da Ade, che viene trasportata nel sottosuolo, nel regno dei morti, ma per ritornare poi periodicamente sulla terra determinando così l’alternarsi delle stagioni. La vecchia inginocchiata, unico personaggio disperato, potrebbe essere la vedova Eutiche, madre di Lucia , la cui disperazione è troppo simile a quella di Demetra per la discesa della figlia nel regno dei morti. La terra irrorata dal sangue copioso del martirio, come latte versato nei giardini di Adone avrebbe propiziato la germinazione sotterranea: seppellimento come preludio per una rinascita, ossia per la resurrezione.

Rinascita cui potrebbe geneticamente alludere anche l’ovale determinato dalle sagome dei due scavatori, nel quale è contenuto il piccolo corpo di Lucia. Ma la posizione, specialmente per il fossore di destra, è quella di due pescatori dipinti da Giorgio Vasari, che tornano alla memoria di Caravaggio perché nel linguaggio popolare del medioevo l’alchimista veniva paragonato allo scavatore o al pescatore. Alchimie ripescate dai discorsi uditi tra gli alambicchi del cardinale Bourbon del Monte, mecenate romano di Caravaggio al quale, undici anni prima aveva dipinto la volta del camerino del laboratorio d’alchimia con una raffigurazione che allude al processo trasmutativo della materia fino allo stato luminoso della pietra filosofale. Oltre che per il riferimento vasariano nel personaggio di destra, una conferma sulla funzione alchimistica dei fossori in quello di sinistra: i tratti somatici rivelano un’identità con il ritratto di Alof de Wignacourt dipinto dallo stesso Caravaggio. Un omaggio al Gran Maestro dell’Ordine di Malta, cui probabilmente doveva la sua fuga dalla prigione maltese. Se la funzione effettiva del personaggio non fosse quella dell’alchimista, piuttosto che un omaggio sarebbe stata infatti una gravissima offesa raffigurare un tale personaggio nelle vesti di un becchino.

Invitato a temperare il dramma che era riuscito a far rivivere in tutta la sua crudezza, ricomponendo la testa decapitata in una ferita che attraversa il tratto visibile del collo della santa, a Caravaggio non deve essere dispiaciuto troppo contenerlo negli esclusivi significati metaforici. Ricomporre col pennello la decapitazione in una piccola ferita lo avrebbe fatto sentire partecipe, anche operativamente, di quel processo di rigenerazione prima semplicemente alluso e delegato.

 

Bibliografia

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